Ahimsa (non violenza)
(Articolo estratto da una lezione di Carlos Fiel del 2008)
Quest’anno studieremo la parte del testo di Patanjali che fa riferimento a Yama e Niyama. Sapete che il primo “anga” del suo insegnamento, (l’Ashtanga yoga, ovvero lo yoga delle otto membra) è Yama, il secondo Niyama, poi c’è Asana e Pranayama … fino ad arrivare all’obbiettivo finale che è il Samadhi.
Se la non violenza è il primo dei cinque Yama è perchè innanzi tutto bisogna rispettare la vita in ogni sua manifestazione.
Il lavoro di Yama e Niyama rappresenta la parte psico-mentale dello Yoga. Le otto “anga” hanno lo scopo di condurre lo yogi ad uno stato interno di unità, che significa non essere separato da niente, essere in interrelazione con la vita in tutte le sue espressioni. Chi vive in questa dimensione ha un senso ecologico della vita. A volte ci si chiede qual è il cuore vero dell’ecologia? il cuore vero dell’ecologia è l’ecologia del cuore l’interelazione, lo stato di essere in relazione con gli altri, con la vita, con il mondo. Desiderare la pace per me, per te, per il mondo.
Ha anche un senso di percorso, quello cioè che dobbiamo percorrere per diventare il più consapevoli possibile. La consapevolezza è collegata alla responsabilità: io sono consapevole dell’importanza del mio corpo per la mia vita, ma anche posso essere consapevole dell’importanza che ha il mio stato d’animo per la mia relazione con gli altri e ne devo essere responsabile.
Interelazione vuol dire anche che non esiste una cosa senza il suo opposto: non esiste freddo senza il caldo, l’inspirazione senza l’espirazione…
Se lo stato di yoga è uno stato di interelazione, l’unione di opposti, dobbiamo avere un certo stato interiore aperto. Lo yoga non è dogmatismo né fondamentalismo ma un’apertura permanente alle situazioni mutevoli della vita.
Si dice che l’Hatha Yoga sia derivato dal Tantra Yoga. Per Tantra Yoga non s’intendono quelle sciocchezze che troviamo sugli scaffali delle librerie, bensì un lavoro profondissimo e spirituale sebbene vi sia compresa la sessualità. La traduzione letterale del termine tantra è avere una comprensione non duale. Il confronto con la non dualità anche nella sessualità non è facile. L’altra persona va rispettata come una divinità indipendentemente da com’è: è il vedere Dio o Buddha in tutti e tutto e non è così semplice.
Nel tantrismo, niente è separato da niente.
Per vivere dobbiamo relazionarci e la relazione non è mai facile. Per avere una relazione più semplice, più profonda, prima di tutto dobbiamo trasformare il nostro comportamento nella vita, la nostra visione di essa. Ecco perchè ci sono questi due primi “Anga”.
In Yama troviamo Ahimsa, la nonviolenza; Satya, la sincerità; Asteya, non rubare; Brahmacharya, la restrizione, l’equilibrio, la castità; Aparigraha, la rinuncia.
Se tutto questo è parte della tua vita la possibilità di trovare l’equilibrio è molto più facile.
Per questo va presa in considerazione la qualità del comportamento personale. A volte sono considerati un po’ come i comandamenti che ci sono stati insegnati, ma in realtà non sono la stessa cosa.
Il primo di tutti come dicevamo è Ahimsa, la nonviolenza, i cui rappresentanti per antonomasia sono stati Gandhi ed i suoi discepoli, come Lanza del Vasto ecc. ecc.
Cosa vuol dire Ahimsa? Non significa soltanto non uccidere, sarebbe troppo semplice. È un insegnamento che ti porta a trovare l’equilibrio e l’ordine nella tua vita. È soprattutto un principio universale, è vivere senza offese agli altri, a te stesso ed alla vita. È certo che la nonviolenza deve essere alla base delle relazioni tra gli umani e tutte le altre creature dell’esistenza, cosa che nel mondo di oggi non avviene.
La nonviolenza è l’essenza della filosofia perenne: non fare del male agli altri ma soprattutto non fare male a se stessi, perché il primo “male” è la violenza che noi facciamo con il nostro mentale. Non fare violenza nella mente vuol dire non ferire nel pensiero, nella parola, nell’azione né agli altri, né noi stessi.
Questa ecologia di pensiero, d’azione, di protezione verso gli altri e verso noi stessi non è facile da mettere in pratica.
Il nostro modo di agire con la mente è sempre critico nei confronti di ciò che è attorno a noi. Per non arrecare danno agli altri bisogna non farlo a se stessi. Questo è uno dei nostri problemi, perché di solito il primo danno, la prima sofferenza, la procuriamo a noi stessi.
Verificare se il nostro comportamento è giusto, o no è un lavoro di autocontrollo, di autoregolazione del nostro pensiero che ci aiuta a capire se lo stesso è aggressivo, offensivo, dannoso per gli altri, se è un giudizio, se è una critica…
Un altro elemento, al quale Krishnamacharya faceva molta attenzione, è l’utilizzo delle nostre parole. Tante parole fanno male agli altri, ma quante ne diciamo pensando che siano giuste .
Le parole sono un elemento della contaminazione mentale che tutti abbiamo. Le parole, la visione condizionata, vedere gli altri già con una certa predisposizione, sentiamo solo ciò che vogliamo sentire e a volte ci piace sentire il lato oscuro della realtà…penso che davanti a qualsiasi dubbio sul comportamento bisogna attingere alla nostra consapevolezza e per questo bisogna fare silenzio e staccarsi un po’ da se stessi. Per questo Yama e Niyama ci portano sempre ad una qualità meditativa.
Certamente non fare violenza agli altri è rispettare la biodiversità, ma lo è anche rispettare la diversità di pensiero, di sensibilità degli altri. È qui che dobbiamo stare attenti, a questa biodiversità che arriva alle emozioni, ai sentimenti, ai pensieri, alle ideologie.
Uno dei punti principali è non fare violenza agli altri con i nostri criteri: è più importante il non fare violenza che imporre il criterio, è più importante rispettare un silenzio che ferire l’altro. Perché questa ferita alla fine la soffre il mio cuore che è incapace di creare uno spazio per l’altro all’interno.
Il punto è che dobbiamo avere un approccio con il nostro “opponente” con un cuore amorevole, con un cuore costruttivo. Io posso pensare in maniera differente da come la pensa un altro, ma cerco un incontro nello spazio di discussione con un cuore amorevole, con l’ascolto e non con l’imposizione.
Se dobbiamo difendere le nostre posizioni nella vita la cosa più importante penso che sia provocare un cambiamento nel cuore e nella mente delle persone, della società, dell’istituzione.
Penso che dovremmo capire che tutte le relazioni, comprese quelle con la natura, si costruiscono con una qualità d’equilibrio mutuo fra le parti, d’aiuto e reciprocità.
Penso che se non troviamo una pace interiore è impossibile trovare qualsiasi altra pace. La nostra responsabilità è generare uno spazio interno di pace. Chi ha un sentimento profondo di pace, difficilmente avrà sentimenti di paura. La paura è all’origine di tutta la violenza. Ciò che è stato fatto dai grandi dittatori, è avvenuto per l’appoggio di chi per paura li ha seguiti. Criticare chi provoca e gestisce le guerre va bene, ma noi, a chi non ci piace, quante “bombe” mettiamo nel loro cuore con la critica, i giudizi ecc. ecc.
Credo che siamo tutti in grado di controllarci per non ferire fisicamente un’altra persona, ma siamo ancora incapaci nel essere nonviolenti nella parola o nei pensieri. Ancora tante volte feriamo gli altri per dar spazio al nostro ego, per dire delle cose che ci pongono al di sopra degli altri senza rispettarli a sufficienza…
Quando qualcuno commette un errore noi possiamo aiutarlo a capire questo errore, ma spesso noi preferiamo “mettere il dito nella piaga” e magari umiliarlo ulteriormente. La questione è generare la comprensione con l’amore non con la rabbia o con una ferita ancora più grande. Quante volte usiamo deridere per criticare gli altri…
È importante essere umili e non sopravalutare se stessi a scapito dei sentimenti degli altri: l’umorismo è sempre il ben venuto, purché non provochi ferite nell’anima o nel cuore.
Quando vogliamo fare una certa introspezione e ci rendiamo conto di questa mente giudiziosa, critica, che abbiamo, possiamo fare appello a queste parole: “Di giorno in giorno, parla di pace e ascolteremo il suo messaggio d’amore”. Vuol dire, parla di pace, agisci all’interno del tuo cuore con la pace e troverai l’amore, non inteso come un romanticismo della vita, ma come la generazione di uno spazio interiore di pace.
Gandhi nelle sue comunità aveva undici principi che diceva essere necessari per costruire l’ordine sociale: nonviolenza, verità, non rubare, continenza, non consumismo, lavoro fisico, evitare il cattivo gusto, senza paure, rispetto per tutte le religioni, economia locale, rispetto per tutti gli esseri.
Questi principi, che alla fine sono Yama e Niyama, devono praticarsi con responsabilità.
Gli yoga sutra, come tutti i testi sacri, sono un testo aperto ed hanno una qualità: ti indirizzano verso te stesso, alla tua interiorità. Inoltre, Patanjali come il buddismo, ti riporta alla tua esperienza.
La differenza tra un filosofo in oriente e uno in occidente è che quello in oriente vive in una capanna e pratica quello che pensa e dice, mentre quello in occidente è chiuso in una biblioteca e dà delle grandi conferenze ma spesso non vive quello stato che predica. Per questo penso che la qualità dell’esperienza diretta sia alla fine la cosa più importante importante.